L’importanza del dialogo in età prescolare

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Nel 1995 Hart e Risley, condussero uno studio estremamente interessante che ricercava una correlazione fra l’ambiente linguistico domestico e lo sviluppo cognitivo, l’alfabetizzazione e le abilità verbali. In realtà questo studio nasceva come tentativo di spiegare le differenze e le disparità – spesso molto evidenti – nelle abilità verbali (ed accademiche) in bambini provenienti da differenti classi socioeconomiche. Lo studio rivelò una profonda e significativa differenza fra status socioeconomico e competenze linguistiche. Per due anni e mezzo, bambini di sette mesi provenienti da quarantadue famiglie, vennero osservati per un ora alla settimana, fino ai tre anni di età. Tutto ciò che veniva detto al bambino, ogni cosa che quest’ultimo poteva ascoltare, e tutto quello che veniva pronunciato dal bambino durante l’ora, veniva registrato e successivamente analizzato.

Gli autori scoprirono che i bambini della classe meno abbiente (welfare class), avevano esperienze linguistiche significativamente minori (la metà) rispetto alla media dei bambini della classe lavoratrice media (working class), i quali avevano a loro volta esperienze più povere (in questo caso di un terzo) rispetto ai bambini appartenenti alla classe medio alta. Analizzando il numero medio di parole rivolte ai bambini in un’ora, gli autori scoprirono un rapporto inversamente proporzionale allo status socioeconomico del sistema familiare di appartenenza: nello specifico venivano rivolte mediamente 616 parole per ora ai bambini delle classi meno abbienti, 1215 parole ai bambini della classe media e 2153 parole ogni ora ai bambini della classe medio-alta. Gli autori riportano come in un anno – ricondotto a 100 ore di registrazione –  siano state registrate 11 milioni di parole nelle classi medio-alte, 6 milioni di parole nella classe media e solamente 3 milioni di parole nella classe meno abbiente. Si tratta di una evidenza allarmante, che sottolinea l’impoverimento linguistico e lessicale che permea (naturalmente in media) le famiglie con status socioeconomico (SSE) basso.

Va inoltre considerato, sottolineano Hart e Risley,  come la loquacità genitoriale o la loro “socievolezza”, e quindi la tendenza a costituire ambienti linguistici più o meno stimolanti, correli sia con lo sviluppo linguistico dei bambini, che con il successo in ambito scolastico/accademico. Inoltre, nelle famiglie con basso SSE, l’interazione genitore-figlio era organizzata prevalentemente intorno a direttive che il primo rivolgeva al secondo, mentre nelle famiglie con SSE più elevato, le interazioni tendevano ad essere maggiormente colloquiali e dialogate. Gli autori sostengono che la qualità dell’interazione possa essere una fattore che determina il successo o il fallimento dei bambini nei test di vocabolario, in cui, evidentemente, i bambini con SSE basso tendevano ad avere prestazioni significativamente inferiori rispetto ai coetanei appartenenti a SSE più elevati.

Pertanto, nonostante la presenza sul territorio statunitense di programmi specifici di recupero e di arricchimento per bambini in svantaggio socioeconomico e culturale, coloro che provenivano da classi a basso reddito tendevano a rimanere indietro – gli autori hanno coniato a proposito il 30 milion word gap, per descrivere questo ritardo –  rispetto ai loro coetanei economicamente più avvantaggiati sia per quanto riguarda le abilità linguistiche, sia per quel che concerne i successi e il grado di adattamento al sistema educativo e scolastico.

Lo studio di Hart e Risley è stato uno dei primi a mettere in evidenza lo stretto rapporto che intercorre fra dimensione del vocabolario personale e status socioeconomico.

Non limitarti a parlare a tuo figlio, ma parla con lui. L’interazione molto più del numero di parole che vengono dette, gioca un ruolo fondamentale nel creare cambiamenti sia a livello cerebrale che cognitivo ponendo le basi per lo sviluppo di abilità linguistiche e di alfabetizzazione importantissime per il successo scolastico

Recentemente Romeo et al., (2018) hanno pubblicato su Psychological Science un contributo intitolato  Beyond the 30-Million-Word Gap: Children’s Conversational Exposure Is Associated With Language-Related Brain Function, in cui viene ripreso il lavoro di Hart e Risley (1995) e vengono sostanzialmente confermate le conclusioni a cui giunsero i due autori.

Il lavoro di Romeo et al., (2018) sottolinea come l’esposizione precoce al linguaggio e quindi l’inserimento dei bambini in ambienti linguistici ricchi e sviluppati, sia in grado di influire sulle loro abilità linguistiche, cognitive e sui risultati scolastici successivi; viene inoltre confermata la grande disparità nell’esposizione linguistica associata allo status socioeconomico familiare (SSE) di appartenenza. L’importanza di questo recente lavoro è inoltre quella di aver ricercato anche i meccanismi neurali alla base della relazione fra esperienza linguistica e sviluppo sia cognitivo che linguistico.

Nello studio in questione l’esperienza linguistica dei bambini è stata misurata negli ambienti domestici. Trentasei bambini, dai 4 ai 6 anni, provenienti da classi sociali differenti, sono stati registrati attraverso un sistema audio estremamente fedele – chiamato Analisi dell’ambiente linguistico (noto come LENA). Le registrazioni sono state successivamente analizzate per misurare il numero di parole pronunciate da ciascun bambino, il numero di parole dette ad ogni bambino e il numero di turni di conversazione fra adulto e bambino.

A seguito del periodo di registrazione, i bambini venivano valutati attraverso un compito di ascolto di storie durante una risonanza magnetica funzionale (fMRI). Attraverso la fMRI, i ricercatori hanno identificato delle differenze nella risposta cerebrale al compito di ascolto. Nei bambini provenienti da ambienti linguistici ricchi, si è osservata una maggiore attivazione della zona frontale inferiore sinistra dell’area di Broca, una parte del cervello coinvolta nella produzione e nell’elaborazione del linguaggio. Questa è la prima prova che mette direttamente in relazione gli ambienti linguistici di provenienza dei bambini con l’elaborazione del linguaggio a livello cerebraleevidenziando sia un meccanismo ambientale (ambiente linguistico), sia un meccanismo neurale alla base delle differenze a livello linguistico riscontrate in bambini provenienti da differenti SSE.

I turni di conversazione sembrano essere fondamentali secondo i ricercatori. L’interazione comunicativa fra genitore e bambino implica non solo uno scambio linguistico, ma anche un’interazione sociale cruciale per lo sviluppo cognitivo. Il lavoro citato suggerisce quanto sia importante che i caregivers “non solo parlino al figlio, ma parlino con lui”: è pertanto necessario considerare fin dalla prima infanzia i bambini come partner di conversazione. Si tratterà ovviamente di una “conversazione” differente in relazione all’età.

In questo senso sembra essere importante anche quanto osservato da Ninio e Bruner (1978), che descrivono il format della lettura di un libro di figure fra genitore e bambino come uno dei momenti tipici della prima infanzia e fondamentale nello sviluppo linguistico, narrativo e socio-emotivo del bambino. Ninio e Bruner mostrano un’interazione specifica fra genitore e bambino centrata su un compito routinario specifico, la lettura di un libro illustrato, identificando alcune peculiarità nel linguaggio materno fra cui l’utilizzo di pochi enunciati, ripetuti ciclicamente e riconducibili a quattro categorie specifiche: richiamo dell’attenzione, etichettamento, domanda e rinforzo o feedback. Gli autori hanno peraltro rilevato come queste caratteristiche seguano un ordine relativamente fisso: il format dunque si apre con un richiamo dell’attenzione, seguito dalle domande e dall’etichettamento; l’interazione, infine, si chiude con un feedback e un rinforzo.

Altri lavori più recenti hanno condiviso l’esperienza descritta da Ninio e Bruner (1975) e l’idea secondo la quale queste situazioni interattive routinarie rappresentino un momento evolutivo importante in cui il genitore, oltre a comunicare conoscenze sulle cose o sulle immagini viste, contribuisce sia allo sviluppo linguistico-narrativo del bambino, che allo sviluppo cognitivo. D’altra parte anche il bambino viene stimolato non solo sul versante linguistico – sia ricettivo che espressivo – ma anche sul piano comunicativo, attraverso la capacità di presa di turno (il bambino infatti deve sapersi inserire efficacemente ed in modo appropriato all’interno dei pattern comunicativi, che coincidono con le pause dell’interlocutore), e affettivo/intersoggettivo, attraverso la condivisione dell’attenzione fra genitore e bambino.

Che cosa fare quindi?

  • nella prima infanzia la comunicazione si realizza soprattutto nello scambio di vocalizzi, di sorrisi, di contatti oculari, di alternanza dei turni nel vocalizzare, di intonazioni, di imitazione reciproca e di attenzione condivisa in azioni quotidiane routinarie (gioco, lettura ecc.);
  • in età prescolare, diventa importante l’espansione degli enunciati, partendo da ciò che dice il bimbo ed amplificandolo, senza preoccuparsi eccessivamente dell’iniziale comprensione delle nuove parole introdotte
  • in età scolare, le conversazioni diventano più strutturate (ad esempio le 5W: who, what, when, where, why?), può quindi essere dato spazio alle domande aperte

Si evidenzia quindi nuovamente l’importanza di inserire i bambini all’interno di ambienti linguistici che promuovano l’arricchimento lessicale, ma che favoriscano soprattutto la costruzione di scambi conversazionali efficaci, positivi e prolungati fra genitore e bambino, vista soprattutto la loro importanza nello sviluppo non solo linguistico, ma anche sociale, affettivo e cognitivo.

References

  • Fletcher K., Reese E. (2005), Picture book reading with young children: A conceptual framework in Developmental Review, vol. 25, n. 1, pp. 64-103
  • Hart, B., & Risley, T. R. (1995). Meaningful differences in the everyday experience of young American children. Baltimore, MD: Paul H. Brookes Publishing Company.
  • Ninio A., Bruner J. (1978), The achievement and antecedents of labelling in Journal of Child Language, Vol. 5, n. 1, pp. 1-15
  • Romeo R., Leonard J., Gabrieli J., et al. (2018), Beyond the 30-Million-Word Gap: Children’s Conversational Exposure Is Associated With Language-Related Brain Function in Psychological Science, pp. 1-11
  • Walsh B., The Brain-Changing Power of Conversation, Usable Knowledge
  • Trafton A., Back-and-forth exchanges boost children’s brain response to language, MIT News

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