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Ipotesi eziologiche sulla Dislessia Evolutiva – l’ipotesi del deficit di processing temporale

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Alcuni autori, pur non escludendo la portata euristica del deficit fonologico, ritengono che quest’ultimo sia da attribuire ad una difficoltà nell’elaborazione (o “processamento”) dei suoni presentati in rapida sequenza. 

Questa prospettiva, delineata dalla Tallal e dal suo gruppo di ricerca (1980, 2004, Rapid Auditory Processing Theory), sostiene che siano presenti difficoltà di discriminazione dei suoni che compongono le parole nel variare delle caratteristiche acustiche, con una conseguente ed errata categorizzazione e riconoscimento del fonema. 

Ricerche condotte dalla stessa autrice hanno dimostrato come bambini con Disturbo Specifico del Linguaggio (DSL) presentino delle difficoltà nell’attuare dei giudizi sull’ordine temporale (chiamati in inglese “TOJ”, Temporal Order Judgements) di toni alti e bassi presentati con un lungo (400 ms) e un corto (50 ms) intervallo interstimolo (ISI) (Tallal & Percy, 1973).

Anche i bambini con dislessia manifestano una performance al di sotto della norma in una condizione di ISI breve, con stimoli presentati in modo rapido, ma nella norma in una condizione di ISI lungo; questo porta a definire la dislessia come un deficit non-linguistico nella risoluzione temporale del cambiamento rapido di stimoli uditivi, che renderebbe difficoltosa la stessa percezione del parlato.

Il deficit fonologico osservabile e misurabile attraverso specifiche prove, sarebbe quindi associato ad una difficoltà nell’elaborazione dei suoni presentati in rapida sequenza. L’incapacità di rappresentare suoni brevi e transizioni veloci causerebbe inoltre particolari difficoltà quando gli eventi acustici rappresentano specifici contrasti fonemici come nel caso delle sillabe /ba/ versus /da/.

Tale ricerca trova una diretta applicazione sui trattamenti di recupero per la Dislessia Evolutiva. A questo proposito Tallal e il suo gruppo di ricerca hanno elaborato un programma denominato Fast for Word, che comprende numerose attività di attenzione, sequenzialità, memoria, velocità di elaborazione, arricchimento linguistico e lettura. Tra queste, è anche possibile manipolare attivamente la durata dei suoni della lingua parlata, allungandoli in modo tale da renderli più facilmente discriminabili ed acquisibili.

Dal punto di vista neurobiologico, quest’ipotesi trova riscontri all’interno del paradigma multidimensionale tipico dell’ipotesi magnocellulare, il quale suggerisce che i bambini con dislessia evolutiva abbiano deficit specifici nel processamento di brevi stimoli sensoriali presentati rapidamente sia nella modalità visiva che uditiva (Hari & Renvall, 2001).

Tuttavia, alcune ricerche hanno posto alcuni dubbi su quest’ipotesi. In una serie di esperimenti durante i quali venivano accuratamente controllati i tipi di stimoli verbali e non-verbali presentati ai soggetti, Mody, Studdert-Kennedy e Brady (1997) osservarono che le difficoltà dei cattivi lettori nel compito “TOJ”, basato su stimoli del linguaggio parlato, erano dovute a deficit nella discriminazione del parlato piuttosto che ad una difficoltà nel giudicarne l’ordine temporale.

Per approfondire: 

Hari R. et al. (2001), Impaired processing of rapid stimulus sequences in dyslexia in Trends in cognitive sciences, Volume 5, Issue 12, 525-532

Mody M. et al. (1997), Speech Perception Deficits in Poor Readers: Auditory Processing or Phonological Coding? in Journal of Experimental Child Psychology, Volume 46, Issue 2, February 1997, Pages 199-231

Tallal P., Piercy M. (1973), Defects of non-verbal auditory perception in children with developmental aphasia. Nature. 1973 Feb 16;241(5390):468-9

Tallal P. (1980), Auditory temporal perception, phonics, and reading disabilities in children, inBrain Language 9: 182-198

Tallal P. (2004), Improving language and literacy is a matter of time, in Nature Reviews Neuroscience, Vol. 5, Pages 721-728

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