DSA Ipotesi eziologiche sulla Dislessia Evolutiva – l’ipotesi fonologica

DSA – Ipotesi eziologiche sulla Dislessia Evolutiva – l’ipotesi fonologica

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I modelli euristici di comprensione della Dislessia Evolutiva possono essere ricondotti a due principali gruppi. 

Le teorie monodimensionali, che interpretano il disturbo come il risultato di un singolo deficit a carico di una specifica funzione neuropsicologica, e le teorie multidimensionali, che partono dal presupposto che lo sviluppo di una funzione complessa – quale è la lettura – non possa essere ricondotto ad un unico fattore, ma a più sistemi neuropsicologici danneggiati che co-occorrono alle difficoltà del processo di decodifica.

Tra i modelli esplicativi monodimensionali, l’ipotesi fonologica rappresenta uno dei paradigmi più diffusi. Secondo tale approccio, alla base del disturbo, vi sarebbero difficoltà specifiche nella rappresentazione, nell’immagazzinamento e nel recupero dei suoni (i fonemi) che compongono le parole di ciascuna lingua, presupponendo dunque l’esistenza di un unico modulo neuropsicologico preposto all’elaborazione fonologica.

Studi longitudinali hanno difatti messo in evidenza come questa competenza influenzi lo sviluppo delle future abilità di lettura (bambini con pregresse difficoltà del linguaggio ed in particolare nell’elaborazione fonologica hanno più probabilità di presentare in seguito una difficoltà di lettura), individuandola addirittura come fattore di rischio principale della dislessia. Orsolini (2000) sostiene che i risultati ottenuti dalle ricerche longitudinali siano di fatto abbastanza ovvi: si può infatti ipotizzare che l’abilità fonologica permetta di manipolare le parti interne della parola, facilitando i collegamenti fra le unità fonologiche e quelle ortografiche. 

Un ulteriore e possibile supporto alla teoria del deficit fonologico proviene dall’esperienza nei processi valutativi dei bambini e ragazzi con dislessia, che frequentemente mostrano difficoltà nell’esecuzione dei compiti di consapevolezza fonologica (definite anche abilità metafonologiche), quali la sintesi e la segmentazione delle sillabe e dei singoli suoni che compongono le parole, il riconoscimento dei suoni iniziali e finali di parola o, ancora, il riconoscimento delle rime.

Le evidenze biologiche a supporto di tale ipotesi, mostrano come le aree corticali alterate (cioè poco attive durante il processo di lettura nelle persone con dislessia evolutiva) sarebbero quelle perisilviane dell’emisfero sinistro, responsabili appunto dell’identificazione visiva delle parole – in particolare i circuiti deputati all’elaborazione seriale della via sublessicale e al riconoscimento della forma globale delle parole -, e le aree frontali inferiori e temporali, coinvolte nella produzione ed elaborazione fonologica. 

Benché siano presenti numerose ricerche ed evidenze sulle differenze neurobiologiche nelle regioni corticali delle persone con dislessia, non è ancora chiaro se tali alterazioni siano da considerare come la causa della dislessia evolutiva, o possano invece configurarsi come l’effetto dello stesso disturbo.

Per approfondire:

Ramus F, et al. (2003), Theories of developmental dyslexia: insights from a multiple case study of dyslexic adults. Brain. Apr;126(Pt 4):841-65

Orsolini M., (2000), Il suono delle parole, Firenze: La Nuova Italia

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